Visualizzazioni totali

giovedì 7 agosto 2014

Pantani: Ammazzato o Morto Suicida?

Pantani “capro espiatorio” di una realtà che invece tutti conosciamo, purtroppo.
E cioè la realtà di un ciclismo all’epoca stradopato che ha tradito la passione degli spettatori propinando uno “spettacolo” al di fuori e al di sopra di ogni umana credibilità.
La dignità  a Pantani la si restituisce non invocando assurdi e presunti complotti, ma spiegando come la vita possa mettere trappole mortali anche sulla strada degli uomini di più grande successo.
Insegnando a diffidare della notorietà, della gloria effimera (un giorno sugli altari, il giorno dopo nella polvere), ad essere guardinghi e mai esagerati.


MADONNA DI CAMPIGLIO 1999
Pantani è stato un eccellente ciclista.
Un eccellente scalatore che, doping o meno, probabilmente avrebbe incantato ugualmente le folle con le sue gesta in salita, con il suo carattere e la sua personalità.
Ma quel “così fan (hanno fatto) tutti” rimane una ben magra consolazione.
E lo scorso anno, dopo l’indagine del Senato francese sul Tour 1998, è addirittura comprovato al di là di ogni sospetto.
Cosa successe a Madonna di Campiglio? Nient’altro che quello che è successo a decine di altri corridori. Uno stop (di soli 15 giorni, neppure una squalifica…) per essere fuori dalle regole stabilite in quel momento.
Il sistema che in qualche modo lo ha messo in un angolo, continua a succhiarne la linfa. Come?
Raccontando la favola dell’eroe tragico.
Della vittima predestinata.
Del campione che suscita invidia e viene eliminato.
Sul piano umano è tutto più che comprensibile, dopo la grande tragedia.
Ma se vogliamo dare un esempio ai giovani non possiamo continuare a proporre tesi senza fondamento.
Complotto? E chi mai avrebbe avuto interesse a complottare contro il Pirata? Sponsor? Armstrong?(che nel Giro 1999 non esisteva ancora e nessuno avrebbe saputo che da lì a poco avrebbe vinto il suo primo Tour De France).
E come si sarebbe realizzato il complotto? Corrompendo i medici?
Qualcuno ha tirato fuori perfino la provetta del prelievo ematico a Campiglio che sarebbe stata scaldata per alzare l’ematocrito.
Ma in realtà scaldando il sangue si scalda e aumenta di volume anche la parte liquida non solo quella corpuscolare e il rapporto in percentuale dell’ematocrito resta inalterato.
Insostenibile scientificamente, eppure c’è chi ne ha fatto un elemento saliente della tesi complottistica.
E poi: chi l’avrebbe scaldata? Il medico? I medici dell’ospedale di Parma che nella serata di quel 5 giugno 1999 hanno ripetuto i test su ordine del pm di Trento Giardina trovando gli stessi valori dei medici UCI?
Su Campiglio ha indagato la Procura di Trento.
Il verdetto è stato univoco: nessuna truffa, nessuna sostituzione di provette (il sangue era di Pantani, come hanno provato i test del DNA), nessun complotto, nessuna manomissione.
Su Pantani si specula.
Come definire altrimenti il sottolineare l’irregolarità della procedura punto centrale in una delle ultime pubblicazioni? La provetta sarebbe stata scelta da uno dei medici prelevatori e non dall’atleta come vuole il regolamento.
Un vizio di forma ininfluente ai fini del test, a meno di non chiamare in causa la stessa ditta produttrice delle provette, che sono sigillate e sottovuoto.
E anche qui senza prove si sfiora la calunnia.
Ma dire, 14 anni dopo, che si sarebbe potuto fare ricorso contro le modalità di quel test, non toglie nulla alla realtà storica: l’ematocrito fuori norma per le regole del tempo.
Controllato otto volte sul sangue del Pirata.
Valori fiori norma.
Non per la prima volta, come del resto provano i dati emersi nel processo Conconi alle cui cure Pantani si era affidato già dal ‘94(database DLAB ed ematocriti del 60% a seguito della caduta nella Milano Torino).
La macchina da analisi (Coulter Act) avrebbe “fornito” un ematocrito alto per via del raggrumarsi delle piastrine? Ma gli esperti sono chiarissimi: “E’ impossibile" sostiene Benedetto Ronci ematologo di fama dell’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma, consulente dei pm nella inchieste doping più clamorose "anche se le piastrine hanno tendenza ad aggregarsi non incidono sul volume corpuscolare; non possono modificare in alcun modo l’ematocrito”.


VALLANZASCA E LE SCOMMESSE?
L'unico punto oscuro è questo ma le indagini fin qui fatte non hanno portato a nulla.
E ad anni di distanza il nome di quell’ “amico” di Vallanzasca che gli avrebbe consigliato di non scommettere su Pantani perché non sarebbe arrivato a Milano nonostante la maglia rosa sulle spalle e la classifica ormai blindata dai risultati, ancora non viene fuori.


MORTE
L’omicidio di Pantani venne escluso fin dalla prima ispezione cadaverica, dai due medici legali intervenuti sul posto: la porta, secondo la testimonianza del portiere, era chiusa dall’interno.
E’ stata questa evidenza e non altro a indirizzare gli investigatori della Squadra mobile verso la pista dell’overdose, confermata poi dall’individuazione degli spacciatori e dalla ricostruzione delle abitudini dell'ultimo periodo del ciclista: la droga (circostanza fino ad allora conosciuta solo dai familiari e dal proprio entourage).
L’indagine non fu frettolosa, né superficiale: mai erano stati messi in campo tanti uomini e mezzi (soprattutto tecnologia telefonica) a Rimini per un caso di overdose.
L’arresto dei responsabili dopo 55 giorni fu semmai una prova di efficienza del tutto.
I responsabili confessarono.
I processi confermarono che l’ultimo spaccio avvenne sulla soglia del residence.

Sembra la risposta ai pur legittimi interrogativi odierni, ma è stata scritta sei anni fa, si legge:
«Non sono poi emersi elementi che possano far ritenere che nell’appartamento si sia svolta una colluttazione e che Pantani sia stato indotto a forza ad assumere cocaina. 
Quest’ipotesi, alla luce di quanto emerso, non è affatto praticabile. 
Giova anzitutto rimarcare come il consulente abbia radicalmente escluso che il decesso possa essere dipeso da una lesività da energia fisica, segnatamente meccanica ed esogena. 
A ciò s’aggiunga: nessuno dei dipendenti della struttura ha riferito d’avere sentito voci, litigi, discussioni provenire dalla camera la mattina del 14 febbraio deduce il giudice dopo aver ascoltato le testimonianze in aula.
Pantani lamentava la presenza di estranei che nessuno ha visto e le cui voci nessuno ha sentito la percezione allucinata rientra del resto, tipicamente, nelle distorsioni sensoriali innescate dall’abuso di cocaina, parimenti, il grave disordine nel quale versava la camera, messa completamente a soqquadro, è del tutto compatibile con l’aggressività, il delirio paranoide, la rabbia estrema provocati dall’uso smodato di cocaina nella sua fase acuta». 


POSIZIONE DEL CORPO
La posizione del corpo rilevata dalla Scientifica non è quella originaria.
Il personale del 118 lo ha spostato per praticare la defibrillazione: si spiegano così le tracce di trascinamento.
Non aveva neppure un segno sulla bocca, sulle labbra, sulle gengive riconducibile ad una somministrazione forzata.
La porta, al momento del ritrovamento del corpo, come detto, era chiusa dall'interno, secondo la testimonianza del portiere ritenuta attendibile (si affidò al passepartout), in una stanza al quinto piano con le finestre serrate.
Dovette spingere perché c’erano degli oggetti.
Pantani si era “barricato” altre volte allo stesso modo, ad esempio nella casa di Saturnia, nascondendosi al mondo per devastarsi con la droga.
Si è parlato delle impronte digitali.
Non vennero rilevate, è vero, ma la stanza è rimasta comunque sotto sequestro per tre settimane.
Se fosse emerso nelle prime ore un dubbio di omicidio si sarebbe proceduto con l’unica tecnica possibile dieci anni fa per una ricerca generalizzata alla ricerca di tracce latenti su ogni tipo di superficie: l’uso dei vapori di cianocrilato (accertamento irripetibile). Inopportuno farlo subito per evitare la cancellazione, ad esempio, di piccoli residui di cocaina, rinvenuti dietro al comodino solo al secondo dei tre sopralluoghi.


SEGNI SUL COLLO
Il cadavere sul collo aveva due piccoli triangoli all’altezza della giugulare, come se qualcuno avesse premuto con le dita proprio in quel punto: erano però soltanto macchie cadaveriche.
Le lesioni erano undici in tutto, superficiali, quasi tutte al volto ( la fuoriuscita di sangue dalla testa è dovuta alla caduta per il malore fatale), attribuite all’agitazione psicomotoria.
Dunque non il frutto di una colluttazione (mancano lesioni da difesa passiva o attiva), ma più probabilmente considerato il fatto che la stanza del residence fosse completamente a soqquadro, dovute a urti accidentali non avvenuti nello stesso momento, tra cui la caduta a terra al momento del collasso.
Nessun trauma o lesione ossea.


CIBO CINESE
E il cibo, soprattutto pane, misto a cocaina trovato accanto al cadavere?
Gli investigatori esclusero che fosse stato piazzato lì: era succhiato e presentava segni di masticazione.
Testimoni vicini a Pantani, inoltre, riferirono che oltre a sniffarla e assumerla sotto forma di crack, il Pirata negli ultimi ingeriva direttamente la cocaina.
Costringerlo a farlo di forza senza scatenare una lotta sarebbe stato impossibile.
Una circostanza stupì Fortuni(il medico) al momento del sopralluogo: «Non c’era in stanza una stilla di alcol, un mozzicone di sigaretta: era come se Marco avesse conservato abitudini sane, da atleta tanto da attenersi alle prescrizioni mediche per i farmaci. In quel contesto notai una confezione di cibo take-away, ma non posso dire che fosse cinese o meno. Da questa mia osservazione forse è nato un equivoco: «Aveva consumato da poco un pasto modesto non completamente digerito, frammisto a coca».


STANZA A SOQQUADRO
La stanza a soqquadro, infine, era più il frutto della meticolosa opera di qualcuno alle prese con i suoi fantasmi (lenzuola annodate sul corrimano delle scale, filo dell’antenna tv legato al soppalco, impianto di condizionamento divelto, materasso del divano estratto dalla fodera, i componenti del bagno accatastati sul water) piuttosto che di una lotta con un individuo reale: non c’è una sola sedia capovolta.
Scritte, manipolazioni di oggetti, piccole lesioni danno un quadro abbastanza caratteristico di chi scambia ombre per persone, cerca di liberarsi da inesitenti animaletti.
Allucinazioni visive e tattili che devono aver preceduto il malore e la breve agonia.
Messinscena? Se degli assassini avessero voluto far pensare all’overdose, non avrebbero avuto bisogno di simulare alcun disordine.


RICHIESTA D'AUTO
Un altro aspetto controverso è la richiesta d’aiuto.
L’autopsia colloca la morte tra le 11.30 e le 12.30 del 14 febbraio 2004, preceduta da un vero e proprio delirio da cocaina, fase in cui i poteri critici superiori della mente si offuscano.
Dalla camera provengono dei rumori.
La cameriera nella tarda mattina prova ad aprire con il passepartout, ma sente la voce del cliente e chiude. E’ in questo contesto che Pantani alza la cornetta (non aveva con sé il telefonino) e si rivolge alla hall, dicendo confusamente che c’è qualcuno che lo disturba, e di chiamare i carabinieri, poi che non c’è bisogno. In caso di pericolo reale, però, avrebbe potuto farlo lui stesso, direttamente dal telefono della camera.
Infine, la droga assunta: un quantitativo abnorme, maggiore dei 30 grammi “confessati” dallo spacciatore.
Questi, però, aveva tutto l’interesse, per non peggiorare la sua posizione, a minimizzare la quantità dell’ultima “fornitura”: era accusato di omicidio colposo come conseguenza non dovuta dello spaccio.


DOPING MIDOLLO OSSEO
Secondo Fortuni:
«Pantani aveva un midollo osseo in condizioni tali che, per quanto riguarda l’ultimo lasso della sua vita non ha assunto sostanze dopanti, per intenderci l’eritropoietina».
Ma cosa significa l’ultimo periodo?
«L’esame non può che far riferimento alle ultime settimane». 
Quando aveva lasciato la bici e l’allenamento, maturando interiormente l’inevitabile ritiro dalle corse.


IL CUORE
Il professor Fortuni si ritrovò poco dopo a doversi “difendere” da una circostanza che lui stesso aveva reso nota: aver portato a casa il cuore del Pirata.
«Al termine della lunga autopsia eseguita a Rimini (16 febbraio 2004), dopo aver evidenziato l’edema polmonare feci i prelievi anatomici necessari per gli esami chimici e microscopici, per stabilire con certezza le cause e le circostanze del decesso: erano “corpi di reato”, sotto la mia custodia in qualità di perito, che ovviamente non potevano andare né persi né distrutti». 
Tallonato da fotoreporter e cronisti, vista l’ora tarda, invece di depositare i prelievi nei laboratori dell’Istituto, privi di custodia notturna, ritenne più prudente conservarli in una speciale valigetta, ma solo fino al mattino seguente e per evitare ogni eventuale contaminazione o manipolazione, negli appositi spazi del proprio studio, collegato all’abitazione.
Poche ore dopo i campioni vennero inviati, con altri particolari accorgimenti, in diversi laboratori per le analisi.
Uno scrupolo in più, divenne l’ennesimo “mistero” per i complottisti più o meno in buonafede.


T'interessano altri articoli su storie sportive(doping, scandali, suicidi, partite vendute, etc) e scommesse?
Qui trovi l'indice completo ed aggiornato del blog:  Indice Storie Sportive(Doping, Suicidi, Partite Vendute, Stake, etc)

Nessun commento:

Posta un commento